Lesione della reputazione professionale e diffamazione. (Corte di Cassazione, Sezione Penale n. 7995 del 01.03.2021).
Lesione della reputazione professionale e diffamazione. [..]
- Data:15 Marzo
La vicenda riguardava un uomo il quale veniva accusato di diffamazione e subiva un procedimento penale per aver inviato all'ufficio sinistri di due assicurazioni una mail diffamatoria.
Nello specifico, una impiegata, interna dell'assicurazione, veniva accusata di aver gestito male la pratica. L'uomo accusava la persona offesa di essere falsa ed incapace.
Il giudice di primo grado confermava quanto statuito dal giudice di pace e condannava l'imputato per il reato di diffamazione alla pena della multa di € 700,00.
L'imputato ricorreva dinanzi alla Suprema Corte dove articolava il ricorso rilevando, tra le altre doglianze, la mancanza l'elemento oggettivo del reato, in quanto a suo pare le espressioni usate non erano offensive, e l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto, in quanto le mail erano state inviate solo alla persona offesa.
Gli Ermellini, però, dichiaravano inammissibili i motivi sollevati.
A parere della Suprema Corte, le espressioni utilizzate dall'imputato integravano una condotta diffamatoria e che oltrepassava il limite della libertà di manifestazione del pensiero.
In merito all'elemento oggettivo la decisione rileva che sia la Corte di Appello che il primo giudice avevano accertato l'assenza di prova circa condotte di scarsa professionalità da imputare alla persona offesa. Inoltre, la terminologia usata evocava mancanze non solo in ambito lavorativo ma coinvolgeva la dimensione umana ledendo il diritto all'onore del soggetto diffamato.
In riferimento all'elemento soggettivo, invece, la Corte evidenzia che il reato di diffamazione richiede il dolo generico anche nella forma eventuale.
In base a quanto sopra, pertanto, non occorrendo l'animus diffamandi, è sufficiente l'utilizzo di parole e frasi socialmente considerate offensive.
Commento dell' Avv. Carlo Cavalletti abilitato alla difesa dinanzi alla Corte di Cassazione
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