Spetta al datore di lavoro dimostrare che il lavoratore – nello svol-gere attività extralavorativa – ha ritardato la guarigione (Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 13063 anno 20022)
Spetta al datore di lavoro dimostrare [..]
- Data:17 Maggio
La Corte di Cassazione con sentenza n. 13063 del 26 Aprile del 2022 conferma che nel nostro ordinamento non esiste un divieto assoluto per il dipendente, assente per malattia, di prestare altra attività lavorativa (anche a favore di terzi o di tipo ludico) e pertanto in tal ipotesi non si può integrare una ipotesi di licenziamento per giusta causa in quanto lo svolgimento di tale attività non costituisce di per sé inadempimento degli obblighi contrattuali.
Il caso riguardava un lavoratore che impugnava il licenziamento irrigatogli per aver svolto ulteriore attività lavorativa durante il congedo per malattia e che per tale ragione risultava assente per ben otto volte alle visite domiciliari.
Sul punto vi erano stati già precedenti come quello della Corte di Appello di Milano che, con sentenza n. 834/2019, aveva annullato il licenziamento irrogato al lavoratore ritenendo che l’asserita “simulazione della malattia" fosse stata smentita dalla documentazione medica prodotta aggiungendo che il datore di lavoro non aveva provato che la condotta del dipendente aveva pregiudicato e rallentato la guarigione. Precisava poi la Corte di Milano che le assenze ripetute alle visite domiciliari dovevano intendersi come “mancata comunicazione di diverso domicilio” da parte del lavoratore. Pertanto condannava il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente e al risarcimento del danno.
La questione arriva al vaglio della Corte di Cassazione che appunto confermava nell’aprile del corrente anno la posizione assunta dalla Corte d’Appello e ne rigettava il ricorso.
Come sopra anticipato la Suprema Corte fa riferimento ad una serie di principi già consolidati nel nostro ordinamento giuridico secondo i quali appunto lo svolgimento di altra attività lavorativa durante il periodo di congedo per malattia non può di per integrare un’ipotesi di licenziamento per giusta causa in quanto lo svolgimento di altre attività costituisce invece espressione di diritti del lavoratore. Ovviamente anche durante la sospensione dell’attività lavorativa per malattia permangono in capo al lavoratore tutti gli obblighi inerenti lo svolgimento della prestazione compresi la correttezza e la buona fede, sicché il lavoratore deve astenersi dal porre in essere comportamenti che potrebbero ledere l’interesse del datore di lavoro alla corretta esecuzione dell'obbligazione principale dedotta nel contratto.
La questione va pertanto risolta sul piano del riparto dell’onore probatorio: il datore di lavoro deve provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento e quindi nel caso di specie avrebbe dovuto provare che la malattia era simulata, o che la diversa attività svolta fosse potenzialmente idonea a pregiudicare o a ritardare il rientro in servizio del dipendente.
Solo in tal modo non potrà realizzarsi una surrettizia inversione dell’onere probatorio stabilito per legge in caso di licenziamento.
Commento Avv. Carlo Cavalletti
abilitato alla difesa dinanzi alla Corte di Cassazione
Via R. Fucini, 49
56125 Pisa
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Fax. 050542616
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